martedì 7 luglio 2009

Blue ukulele



Qualche giorno fa ho sentito alla radio questo vecchio pezzo schifo-dance, in auge quando io facevo le scuole medie e che mio malgrado mi ha accompagnato per quasi tutta l'adolescenza (mio malgrado perchè io a 12 anni ascoltavo Marilyn Manson, Korn, Subsonica e Nirvana, con brevi escursioni nel mondo popposo delle All Saints solo ed esclusivamente perchè erano gnocche).

Allora ho deciso di dedicare agli Eiffel 65, che fortunatamente si sono estinti presto, una cover all'ukulele. Il mio inglese elementare e la mia parlantina sgaffa (mi mangio le parole) fanno si che si capisca poco il contenuto di questo pezzo d'evasione (più evasione di così), e allora ve ne riporto una sommaria traduzione. Non è uno scherzo.

Ascolta, questa è la storia di un ragazzo che vive in un mondo blu, e tutto quello che vede tutti i giorni e tutte le notti è semplicemente blu, come lui, dentro e fuori.
La sua casa è blu con una finestra blu, e la sua corvette è blu e tutto per lui è blu, lui stesso e la gente attorno, perchè non ha nessuno da sentire.

Io sono blu, dabudì dabudà.

Ho una casa blu con una finestra blu, blu è il colore dei miei vestiti,

blu sono le strade, e anche gli alberi, è ho una ragazza molto blu.
Blu è la gente attorno a me, blu è la mia corvette parcheggiata fuori,

blu sono le parole, e io sono uno che dice quel che pensa,

blu sono i sentimenti che vivono in me.

Io sono blu, dabudì dabudà.


Potremmo analizzare semioticamente quest'opera, partendo dal débrayage enunciazionale iniziale che si risolve in un embrayage quando nella strofa (la parte prima è un'introduzione) a prendere il microfono in mano è proprio il Soggetto che racconta in prima persona il suo Percorso Narrativo. O forse, più semplicemente, il testo è stato fatto a cazzo.

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