venerdì 26 novembre 2010

Ultime letture: Il sorriso di Angelica (Camilleri), Billy Budd (Melville)

Andrea Camilleri, Il sorriso di Angelica, 2010
Uno va a lavorare e si rincoglionisce davanti al computer. Poi la sera, con gli occhi che piangono per la stanchezza, esce. Torna a casa tardi, barcollando per il sonno, riesce a fatica a mettersi il pigiama e lavarsi i denti, poi si trascina a letto. Accende con uno sforzo sovrumano l'abat-jour. Prende l'ultimo libro di Camilleri. E dopo quattro ore è ancora lì che legge, sveglio come un atleta durante una partita a calcio e attento come un giocatore di carte con la mano vincente. Voglio Camilleri presidente della Repubblica.

Herman Melville, Billy Budd, 1886
Ingenuità, astuzia, innocenza, passione, amore, invidia e antipatia: nel suo ultimo romanzo Melville – prossimo alla morte – si concentra sulla descrizione dell'essere umano e della sua psiche. Lo fa partendo dalla storia personale di Billy Budd, un giovane gabbiere di parrocchetto (marinaio alle manovre sugli alberi) bello quanto ingenuo, candido quanto ignorante, onesto quanto timoroso. Billy è adorato da tutti i suoi compagni di avventura e stimato dai capitani delle due imbarcazioni sulle quali presta servizio. Ma non è tutto oro ciò che luccica, e sarà proprio l'odio represso di un uomo che apparentemente lo ama ad aprirgli le porte dell'inferno. Il perché di questo odio non è dato sapersi. E il tentativo di schematizzare, indicizzare la personalità umana, rende l'uomo ancor più inquietante.

mercoledì 24 novembre 2010

L'apprendista royalty

Scritto per Billy #28

Ieri sera ho ricevuto una telefonata da Paul Dukas (ebbene sì, ogni tanto, soprattutto al giovedì, ricevo telefonate dai morti. Non vi va bene? Se non vi va bene cambiate rivista). Magari non sapete chi è, Paul Dukas, ed era proprio questo l'oggetto della telefonata. Paul [1865-1935] è stato un grande musicista francese: dopo aver studiato contrappunto, armonia, fuga e altre cose strane (e non ben comprensibili ai comuni mortali), è diventato professore di orchestrazione al conservatorio di Parigi (a differenza dei comuni mortali) e ha composto musiche da camera, musica per balletti, musicame vario. Un grande, insomma. Poi è arrivato Walt Disney, che ha deciso di ficcare una composizione di Paul come accompagnamento dentro un episodio del film d'animazione “Fantasia” [1940]. Nell'episodio, uno stupido topo faceva danni dando vita con la magia a una scopa che poi non riusciva a controllare. Lo stupido topo è passato alla storia, Paul invece non se l'è cagato più nessuno.
Voglio le royalty! Almeno quelle!
Paul caro, sei morto anni prima che il film fosse fatto, ma di quali royalty vai parlando.
Ma non è giusto! Non è giusto! Io mi sono fatto un culo così, ho studiato un mucchio, potevo andare a gnocca invece mi sono sparato anni di trombone e ocarina, e quello stupido topo raccomandato...
Paul, fattene una ragione, guarda che ad essere invidioso di Topolino non ci fai una bella figura, pensaci.
Ma che invidia? Ma quale invidia? Io parlo di meritocrazia! Prova a cercare con Google “Apprendista stregone” e contare quante stronzate compaiono prima che spunti fuori il mio nome!
Ma Paul, è la magia del cinema. E' sempre stato così. Un grande regista fa un grande film con un ragazzetto brufoloso, e diventa famoso il ragazzetto brufoloso! Viene pubblicato un bellissimo libro, ne fanno un'orribile trasposizione cinematografica e diventa famoso il film! Il mercato imprevedibile è la magia del cinema, Paul. Non puoi combatterla. Da cadavere, poi.
Non mi hai convinto per niente. Ti richiamerò. Ci sei giovedì?

lunedì 15 novembre 2010

Ultime letture: Il bambino della città ghiacciata (Lonnaeus), Sul mare delle perle (Salgari)

Olle Lonnaeus, Il bambino della città ghiacciata, 2009
“Il miglior thriller svedese dell'anno”, c'è scritto in copertina. Dev'essere stata un'annata davvero fiacca. La complessa e intricata storia di Konrad, giornalista accusato dell'omicidio dei suoi genitori adottivi, popolata da tante facce e tanti nomi che appaiono improvvisamente e scompaiono con la stessa facilità, intervallata da flashback telefonati e poco approfonditi, si risolve come più semplicemente non potrebbe. Un librone di 400 pagine il cui coup de théâtre si realizza in poche righe, esemplificando troppo la storia e rendendola banaluccia. Attualissime invece le osservazioni di “contorno” sulla vita degli immigrati in Svezia e sui movimenti politici nazionalisti.

Emilio Salgari, Sul mare delle perle, 1903
Romanzone d'avventura dove due superuomini, due Rambi ottocenteschi, in coppia e armati di sciabola distruggono eserciti e sterminano popolazioni indonesiane avverse (per vendicarsi di UN assassinio). Interessante non tanto per la storia quanto per le numerose curiosità seminate tra le pagine: la descrizione della pesca delle perle sull'isola di Ceylon all'inizio dell'800 (coi palombari senza protezioni, che a dieci metri di profondità causa pressione cominciano a perdere sangue da ogni orifizio), le partite di caccia alle tigri (a bordo di elefanti), il ruolo dei coloni inglesi (che pattugliavano i mari a mo' di forze dell'ordine, con tanto di inseguimenti). E lo sapevate che già duecento anni fa si gustava il gelato? Evviva, evviva i "classici"

Altre letture

domenica 14 novembre 2010

Sleepy Sun al Bronson

Sleepy Sun
Bronson (Ravenna), 10/11/2010
10 €
Houston, abbiamo un problema: gli Sleepy Sun sono saliti sul palco senza la corista (Rachel Fannan, che proprio in questi giorni ha mollato la band per progetti solisti), col cantante che si è tagliato i baffi alla D'Artagnan (portandosi via una fetta di spettacolo), con dei suoni che distruggono le orecchie (tutti medi e batteria).

Va da sé che il (da me) tanto atteso concerto non sia stato all'altezza delle aspettative, nonostante l'impegno dei ragazzuoli sul palco e il doppio impegno del cantante Bret Constantino, chiamato a coprire (bravissimo ma affaticato) anche i buchi lasciati dalla bella Rachel. Uffaaaaa!

Badly Drawn Boy al Bronson

Badly Drawn Boy
Bronson (Ravenna), 13/11/2010
15 €
Concerto in due tempi.

I° tempo: Damon Gough sale sul palco da solo, arrabbiato o ubriaco o fatto o tutte e tre le cose. Comincia a suonare un pezzo con la chitarra e si ferma a metà perché non ricorda le parole. Allora comincia a suonare un altro pezzo ma si ferma perché ha un problema alla spia (la spia va benissimo, sia chiaro). Allora comincia a suonare un altro pezzo ma si ferma perché la chitarra frigge (la chitarra va benissimo, sia chiaro). Dopo mezz'ora sale sul palco anche la band, ma ormai è troppo tardi: tante pietre miliari del suo repertorio (Once Around the Block, Pissing in the Wind, Camping Next to Water etc) sono andate così.

II° tempo: dopo un quarto d'ora nel quale ha fumato e bevuto, Damon risale sul palco visibilmente più rilassato e già in compagnia della band (basso, batteria, chitarra, tastiere). Ne segue un concerto godibile anche se non entusiasmante, dove vengono proposti soprattutto i pezzi del nuovo album ma anche le vecchie hit di About a boy e una cover di Madonna (Like a Virgin al piano).

E' la seconda volta in pochi mesi che lo vedo dal vivo: penso che mi prenderò una pausa. Penso che la prossima volta me ne rimarrò in casa ad ascoltarmi The Hour of Bewilderbeast, facendo un tuffo nel passato e ricordando i miei 15 anni, quando non vedevo l'ora di andare a un live di Badly Drawn Boy.

Immagine di Pilot_10

giovedì 28 ottobre 2010

Al potere non c'è mai fine

Scritto per Billy #27

Bagno di folla oggi al Lido per l'arrivo della pornoattrice Brigitta Bulgari, protagonista femminile del remake di Scarface, dove la parte di Tony Montana è stata affidata al celeberrimo Fabrizio Corona. La sceneggiatura del film, le cui riprese sono cominciate ad agosto, è del grande Carlo Emilio Gobbi, noto per il suo... noto per... beh, noto. Ma la vera sorpresa, anche se non confermata, è che a co-produrre il capolavoro dovrebbe pensarci niente meno che il nostro emerito premier Berlusconi, affascinato dalla pellicola originale di Brian De Palma dove il combattivo Al Pacino ne diceva di cotte e di crude contro il Commonismo e i suoi vili militanti. Candidati ad una parte nel film sono anche la splendida Noemi Letizia, una delle attrici più promettenti dell'italico cinema, e l'indiscutibile Franklin Santana, noto per il suo... noto per... mah, noto. I grandi critici sono in trepidazione ma avranno ancora da aspettare: uscirà non prima del 2011.

Si potranno consolare con Memorie di un sognatore, la cui sceneggiatura è stata scritta a quattro mani dal nostro ministro Bondi e il suo ghostwriter, nelle sale a breve. E' la storia di un pastore evangelico amante della poesia (interpretato dall'impareggiabile Costantino Vitaliano) che lotta contro i commonisti sui monti di Fivizzano, col sostegno di Papa Ponzio II (interpretato dall'immenso Paperoga) e di suor Calura (Eva Henger). 

Ma ci sarà pane anche per i denti degli amanti dei thriller: sono stati giustamente concessi i finanziamenti pubblici per la realizzazione de Il sole delle Alpi, noir nel quale due investigatori di Monza amanti del verde (interpretati magistralmente dal figlio di Vasco Rossi e dal figlio del tastierista dei Pooh) indagano sui crimini commessi dal Commonismo e ammazzano i nemici del Nord colpendoli a suon di legittimi impedimenti. Il soggetto è del figlio di Bossi, la regia dovrebbe essere affidata al figlio di De Sica (junior), che dovrà però battere la concorrenza del figlio di Giuseppe Moccia. Ho già i brividi.

Nella foto, la Bulgari a Venezia con Gobbi (pensavate scherzassi, eh?)

lunedì 11 ottobre 2010

Ultime letture: L'amore non si dice (Vitali), Pochi inutili nascondigli (Faletti)

Massimo Vitali, L'amore non si dice, 2010
Romantico quanto leggero, semplice quanto ironico, questo mancato (purtroppo per il protagonista) scambio epistolare è l'ideale per rilassarsi un po' e fare pace con sè stessi. Un ragazzo di Bologna, che lavora all'assistenza clienti di una grande multinazionale svedese, conosce l'amore della sua vita in piscina, a lezione di nuoto: è la ragazza che lo salva mentre sta affogando. Peccato che a lei, di lui, non interessi proprio niente. Lui comincia a mandarle lettere d'amore, lei lo implora di smetterla, lui continua a scriverle, parlando di tutto - musica jazz, cicale, balconi, parenti - fuorché dei suoi sentimenti. Reggerà?

Giorgio Faletti, Pochi inutili nascondigli, 2008
Sette brevi racconti dove si respira una bella aria pesante e noir, ma rovinati dalla presenza asfissiante e gratuita del fantastico, del misterioso, del metafisico, dell'eccetera. E infatti il più meritevole è il più "normale", ambientato sull'isola d'Elba e popolato di personaggi simpatici ma soprattutto veritieri. Faletti scrive bene (a meno che non sia tutto merito del suo editor), gli rimane da correggere il tiro sull'abuso di paranormale, qui come in altri romanzi: le magie stanno bene nei film hollywoodiani e negli spettacoli d'illusionismo, in libro thriller rischiano di banalizzare la storia e basta.

martedì 28 settembre 2010

Io cresco, tu cresci, egli Spielberg

Scritto per Billy #26

Siete mai stati importunati da qualcuno su una chat? Costretti a disconnettersi con scuse poco credibili per non essere bombardati da messaggini odiosi a cui però va data risposta, pena una figura da stronzo? Io sono giorni che non riesco a togliermi dalle balle Steven Spielberg. 

Ciao paco da quanto tempo come stai hai un secondo? 
Ma certo, Spiel! Dimmi tutto! 
Senti vorrei fare un nuovo film ma non so bene che tema affrontare per creare un prodotto fresco e nuovo comunque vorrei che il film parlasse delle persone.
Aspetta, Spiel, usa la punteggiatura altrimenti non capisco un emerito. 
Dunque, stavo, dicendo che: come ti sembra, un film, dove il personaggio principale è un adulto, che però, agli occhi, dello spettatore, pare ancora bambino? Ma che poi, succede una cosa che gli cambia: la vita, per cui cresce; matura? 
Beh, Spiel, mi sembra tu abbia già affrontato la questione un miliardo di volte. Qualcosa d'altro? 
Allora, il contrario: un ragazzo intelligente che finge di essere adulto, ci prova, per riscattarsi: da una vita infelice, ma, i fallimenti, lo trascineranno da una dimensione nella quale tutto appare ipoteticamente possibile a un’altra in cui è inevitabile operare delle scelte e assumersi responsabilità. Per cui cresce; matura. 
Ma scusa, Spiel, non è il tema portante di “Catch me if you can”? 
Allora, un film sull'infanzia. 
Urca, non vedevo l'ora. 
C'è un robot: adolescente, e un gruppo di scienziati, adulti e cinici, che lo vuole catturare; e un gruppo di bambini, innocenti e curiosi, che: cercheranno di salvarlo. Durante il salvataggio, i piccoli, scopriranno: il valore dell'amicizia, della famiglia e della tolleranza, e il robot adolescente scoprirà: l'amore. Per cui insieme cresceranno; matureranno.  
Uhm, mi sembra un po' un incrocio tra ET e AI, o sbaglio? 
Ti sbagli. Ma che ne pensi di: Hook, The Return? Ritengo la figura di Peter, Pan, indispensabile per: non dimenticare il fanciullo che è in noi e non perdere la voglia di: inseguire i sogni. E' così che Peter cresce; matura. 
Scusa, Spiel, qua c'è il temporale e la mia connessione potrebbe interrompersi da un momento al

lunedì 27 settembre 2010

Stupido gatto, non vedi che voglio aiutarti?

Ogni tanto sento il bisogno di farmi un giro in bici. Non è una passione, ma un vero e proprio bisogno: quando rimango molto tempo davanti al pc devo uscire in strada a guardarmi un po' di verde (quello vero), respirare a pieni polmoni un po' di ossigeno (quello vero), farmi venire un po' di crampi (per ricordarmi che sono una persona e non un virtuale account su un social network).

L'altra mattina stavo biciclettando nella campagna forlivese, tra Poggio e Branzolino, quando, fatta una curva, a momenti pelavo un gatto steso in mezzo alla carreggiata. Non era morto e non stava male, era abbioccato lì nel mezzo della strada approfittando degli ultimi soli di settembre.

Merda, ho pensato, se rischio di beccarlo io in bici, controvento, se arriva un'auto lo spappola. Mi sono fermato. Il gatto ha alzato leggermente il muso, ha aperto gli occhi, e mi ha fissato con uno sguardo pieno d'odio.

“Stupido gatto, se arriva una macchina ai cento all'ora diventi una polpetta. Vattene da lì!”
Macché. Ha continuato ad odiarmi, senza muovere un baffo.

“Oooooh” ho urlato io, sperando di fargli paura. Niente. E' incredibile come i gatti riescano a fissare una cosa per minuti rimanendo immobili.

“Adesso scendo dalla bici, ti prendo e ti metto nel ciglio della strada. Anzi nel fosso. Ok?”
Dal gatto nessuna risposta. Continuava ad odiarmi, immobile.

Sono sceso dalla bici, ho messo il cavalletto, ho fatto un passo avanti e lo stupido gatto ha aperto la bocca mostrandomi i canini. (A me il fatto che i gatti abbiano i canini ha sempre fatto ridere, ma tralasciamo). “Wei! Stupido gatto! Non vedi che voglio aiutarti? Cos'è questa cattiveria? Se passa una macchina ti distrugge! Sì, ho capito che qua di macchine ne passano due alla settimana, chi cazzo vuoi che venga nella periferia di Branzolino, ma se passa... passa!”

Il gatto continuava a guardarmi, bocca aperta e sguardo truce. “Magari tu vorresti anche morire, ma sono sicuro che in una delle case qua in giro c'è un padrone che piangerebbe tanto, se tu morissi. Ai padroni degli animali dispiace moltissimo quando i suddetti animali muoiono spappolati, sai. Oddio, a meno che l'animale non sia un maiale, a quel punto il padrone fa festa. Anche se è una mucca. O una gallina. O un agnello. O una renna, se vive in Finlandia. Ma tu non sei una maestosa renna finlandese, sei uno stupido gatto, quindi fai il bravo e vattene”.

Devo averlo colpito. Si è alzato e, continuando a fissarmi con sguardo assassino, è andato lentamente verso il giardinetto della casa sul ciglio della strada, sotto la buchetta delle lettere. Devo averlo colpito proprio. Forse pensava di essere una renna e gli ho rovinato la vita riportandolo alla cruda realtà.

Il gatto continuava a guardarmi con odio. “Che mondo di irriconoscenti. Davvero, non me lo merito” ho pensato io, togliendo il cavalletto della bici, inforcandola, scivolando col piede sul pedale e andando a sbattere nel guardrail.

lunedì 20 settembre 2010

Ultime letture: Maxwell Sim (Coe), I frutti dimenticati (Cavina)

Jonathan Coe, I terribili segreti di Maxwell Sim, 2010
Il depresso Max fa quello che io non avrei mai il coraggio di fare: cambia la vita così, su due piedi, accettando un nuovo lavoro piovuto dal cielo e partendo alla volta del nord della Scozia, per pubblicizzare spazzolini da denti ecologici. Nel viaggio però sbatterà prima in tristi scoperte su di sé e la sua famiglia, poi in qualche bottiglia di whisky. Il personaggio c'è, la storia pure, ed è un mistero come Coe sia riuscito abuttare via un romanzo con tanto potenziale. Ma c'è riuscito, perdendosi verso la fine del tragitto proprio come il suo Max. Lontano anni luce da "La casa del sonno" e "La famiglia Winshaw".

Cristiano Cavina, I frutti dimenticati, 2008
Cavina toglie il tappo e si lascia uscire di bocca la sua vita personale: il padre morente, il figlio nato prematuro, la crisi con la sua ragazza, la sua gioventù a Casola Valsenio e altri fatti suoi. Lo fa con uno stile simpatico e brillante, ma non entusiasmante. Sembra davvero il suo diario segreto, quello che si chiude col lucchetto e si nasconde nel comò. E che forse sarebbe stato meglio mantenere segreto. Ci sono critiche entusiaste di come nel romanzo vengano esaltate favola e poesia dei piccoli paesi della provincia italiana, soprattutto se visti con gli occhi di un bambino: a questo punto, di Cavina, meglio i precedenti.

venerdì 17 settembre 2010

Replicanti e compilation

Scritto per Billy #25

Rio Claro, centro storico. Cielo plumbeo. Due del pomeriggio. O della mattina? Piove da giorni, forse settimane, e ormai non si riconosce il giorno dalla notte, in questa fottuta città. Sono seduto ad un take away cinese aspettando i miei wanton fritti, quando un uomo si siede al mio fianco. E' un vecchietto con un orecchino da checca nel lobo sinistro. E' Harrison Ford. E parla.  
Tu mi devi aiutare. 
Chi, io?  
Mi hanno detto che sei una persona sveglia e intelligente. 
Ahahah, dev'essere stata la mia ex, si diverte un sacco a prendere per il culo tutti.
Sono tornati, sono qui. 
Chi? 
I replicanti! Sono di nuovo tra noi. 
Ah sì? 
Sì. E' arrivato un bastione carico di orioni, e loro sono riusciti a fuggire passando per un pertugio della carlinga. Saranno in sette, o otto, o forse addirittura in quattro. La caccia è aperta, e tu mi devi aiutare. 
Ah sì, capisco. Senta, mentre chiamo col cellulare il centro diurno dal quale è scappato, le va di parlarmi un po' di questi reprimendi? 
I replicanti? Sono come noi, ma non sono come noi: sono androidi. Organismi artificiali. Incapaci di provare emozioni, o meglio incapaci di controllarle, non avendo l'esperienza di vita di un uomo. Capisci? 
Come no. Scusi se mangio, eh, mi si freddano i wanton, ma lei continui pure.
Sono delle macchine, in sostanza. Fredde e spietate. Fanno tutto ciò che gli si ordina di fare. Macchine senz'anima. Quelli scappati sono di proprietà delle major discografiche. 
Eh? Delle major? 
Il modello è chiamato “Amici di Maria”, un'evoluzione del precedente “Manzo da Festivalbar”. Sono pericolosissimi. Non sanno cosa sia il dolore, e ne provocano agli altri. Non sanno cosa sia la gioia, e tendono a distruggere tutte le cose belle. Mi hanno mandato a rintracciarli, in quanto iscritto all'albo dei cacciatori di taglie. Devo eliminarli. Con un bel proiettile in testa. Ne va della nostra vita. Ma da solo non posso, ho bisogno di una mente eccelsa per individuarli e smascherarli: la tua. 
No, guardi, glie lo ripeto, è la mia ex che dice così, dice a tutti che sono intelligente, ma lo fa con ironia, capisce, per prendermi in giro. Scherza, la zoccola. Poi guardi, è arrivata la sua ambulanza!

Ultime letture: Acqua in bocca (Camilleri), Cuore di cane (Bulgakov)

Andrea Camilleri/Carlo Lucarelli, Acqua in bocca, 2010
L'ispettore Grazia Negro chiede l'aiuto del commissario Montalbano per un caso di omicidio. Ne nasce uno scambio di lettere e messaggi tra i due da cui il lettore, aiutato anche da fittizi articoli di giornale, riesce a ricostruire e seguire la storia. Un romanzo/giocattolo epistolare per Lucarelli e Camilleri, un loro divertente passatempo (come spiega anche l'editore nella prefazione) senza grandi pretese e che si legge in una sola sera. Particolare.

Michail Afanas'evič Bulgakov, Cuore di cane, 1928
Mosca, 1918. Pallino, un simpatico cane randagio a cui è impossibile non affezionarsi, comincia a trasformarsi in un uomo dopo l'esperimento di un importante medico russo. Esperimento che però non va come previsto... Sarebbe un romanzo fantascientifico, ma le battute pungenti e le situazioni grottesche ne fanno un capolavoro della satira, dove l'autore si diverte a prendere in giro sia la Russia sovietica, sia le nuove manie dei ricchi, perseguitati dal desiderio della gioventù eterna e disposti a qualsiasi cosa per vedere svanire rughe e imperfezioni (sì, nel 1918). Un libro che, secondo me, sembra scritto apposta per diventare la sceneggiatura di un film di Terry Gilliam.

mercoledì 18 agosto 2010

Ultime letture: Firmino (Savage), Notturni (Hoffmann)

Sam Savage, Firmino, 2006
Parte arrancando, il libro Firmino. Che tra un fatto, un evento e l'altro passano una trentina di elucubrazioni del personaggio, di Sam Savage (professore di filosofia) e di nessun altro. Un romanzo dove uno scrittore affida i suoi pensieri a un topo, anche se a nessuno interessano, questi pensieri. Ma poi alla fine parte, ed è una bella discesa verso la solitudine, la malinconia, la tragicità. Firmino non è un topo che legge, come molti recensori lo hanno limitatamente descritto, ma è un topo che vive in un quartiere degradato, che conduce una vita miserevole e insoddisfacente, amico di ubriaconi che "scivolano pian piano verso il nulla". Ne è ben consapevole, in fondo al suo cuoricino, e quindi cerca di godere al meglio delle poche cose belle che si trova davanti: i libri, i sorrisi di Jerry, il pianoforte giocattolo. Non è affatto il capolavoro che mi aspettavo, leggendone le critiche, ma tiene compagnia. C'è chi lo ha trovato un libro "divertente, originale e pieno di umorismo": o ho letto male io, o han letto male loro.

Ernst T.A. Hoffmann, Notturni, 1817
Un venditore di cannocchiali visita un giovane studente universitario per fargli vedere la mercanzia. E' invecchiato e ha cambiato identità ma il ragazzo lo riconosce: è l'uomo accusato dell'omicidio di suo padre, avvenuto in circostanze oscure e misteriose. Comincia così l'inquietante "Sandman", il primo dei Notturni di Hoffmann, brevi racconti a carattere gotico alcuni particolarmente angoscianti (che difatti non trovarono, ai tempi, il favore del pubblico). Per carità, non mancano momenti di "romantica" lentezza, ma un bambino di pochi mesi squarciato in un mare di sangue è un'immagine non facile da trovare, in un romanzo dei primi dell'800...


Altre letture

martedì 10 agosto 2010

Strade pericolose

Scritto che mi ha permesso di entrare nel laboratorio "Raccontare Ravenna 2010"

Ricordo Fa. Fa era un ragazzo bravissimo, buonissimo e gentilissimo con tutti. Giocavamo assieme a calcetto, e nonostante fosse molto più grande di me era più divertente aver a che fare con lui che con i miei coetanei. Quanti bei pomeriggi al campetto, con Fa. Una sera tornava a casa in auto, a Filetto, guidava da tre ore, e a cento metri da casa PAM! nel pioppo sul ciglio della strada. Colpo di sonno. Morto sul colpo (di sonno). Al funerale la chiesa era piena di sciarpe della sua squadra di calcio preferita. Era un gran tifoso, Fa. Al suo funerale c'era un sacco di gente che diceva “Eh ma wei quella strada l'è pericolosa, sê. Eh ma cio' lì c'è quella fila di pioppi che fa paura, eh, e' puret”. Quella strada sarà lì da cent'anni, assieme ai suoi pioppi, e non hanno mai causato danni. Poi d'un tratto son diventati pericolosi. Troppi pioppi, Filetto.

Io vivo nelle vicinanze di una strada terribile: la Ravegnana. Oddio, a guardarla non è poi così terribile. Segue il corso di un fiume, quindi ha un sacco di curve. Segue il corso di un fiume, quindi tutt'attorno cresce rigogliosa l'erba ed è un continuo svolazzare di uccelli per buona parte del tragitto. E se da un lato della strada c'è l'argine, dall'altro si vedono tutti i paesi costeggiati e i campi attorno. Oddio, a guardarla sembra quasi bella, la Ravegnana. Peschi, verde, campi arati, il piccolo ufficio postale di Ghibullo, la chiesetta di Longana, un campetto da calcio, alberi. E invece so per certo che è una strada è terribile. Me lo hanno ripetuto fin da piccolo. Fin da quando giocavo a calcetto con Fa e cominciavo a girovagare in bicicletta da buon perditempo di campagna. “Pedala pure ma stai lontano dalla Ravegnana”, mi dicevano tutti: troppe curve, la Ravegnana.

Io vivo in una provincia che è piena imbullonata di strade terribili, spaventose. Che la Ravegnana e i pioppi di Filetto ci fanno un baffo. Ce n'è una che si chiama Adriatica: è larga e dritta, con un cavalcavia a Ravenna che ti fa vedere palazzi e case un po' dall'alto. L'Adriatica a vederla è certo più brutta della Ravegnana, molto grigia e fredda, ma non sembra così pericolosa, dritta e larga com'è. E invece spesso qualcuno ci muore. Il motivo? Basta leggere i giornali per scoprire che l'Adriatica è piena di buche nell'asfalto. Le buche si formano per la pioggia e il passaggio dei mezzi pesanti, poi qualcuno le ritappa, poi piove, passa un camion e si riformano. Le hanno studiate tutte per risolvere il problema: asfalti drenanti, asfalti ruvidi, bitumi magici, ma i morti rimangono lo stesso. Troppe buche, l'Adriatica.

Ma sui giornali qualche tempo fa c'era anche scritto che la strada più pericolosa d'Italia era la Romea. Sembra impossibile eppure è così. La Romea parte dalla città, e verso nord s'infila subito in mezzo alla pineta, a pochi passi dal mare. La Romea è verdissima, perlomeno all'inizio: circondata da pini circondati a loro volta da pozze d'acqua circondate a loro volta da zanzaroni circondati a loro volta da uccelli di ogni sorta. La Romea non sembra così terribile, profuma di natura. E invece spesso qualcuno ci muore. Perché di natura ce n'è fin troppa, e la carreggiata è perciò troppo stretta, e la macchine cuzzano tra loro, o vanno fuori strada. Magari sbattendo contro un pino pieno di zanzaroni. Su dieci incidenti, dicono le statistiche sui giornali, in uno ci scappa il morto, e questo ne fa la strada più pericolosa d'Italia. Troppo stretta, la Romea.

O no? A dir la verità io non l'ho mai ben capita 'sta storia delle strade pericolose. Che una strada è lì, ferma, cementata e pietrificata, mica si muove. Mica ti tende un agguato come il cane dei vicini.

Io, anche da piccolo, ho sempre pensato che gli incidenti avvenissero o per fatalità o per idiozia. O perché uno ha sfiga, o perché fa il cretino alla guida.
Ho sempre pensato, nella mia ignoranza, che fosse addirittura deleterio parlare di strade pericolose quando c'è un incidente, perché in qualche modo si giustifica il comportamento dell'automobilista poco attento. Ho sempre pensato che auto e moto ogni anno più grosse e più veloci potessero essere proprio la causa di tanti incidenti.
E' ovvio che non è così. Altrimenti, quando ci scappa il morto, i politici non si scatenerebbero per “mettere in sicurezza” una strada, ma farebbero di tutto per far circolare veicoli piccoli e lenti. Auto e moto sono invece sempre più grosse e veloci proprio per difendersi dalle strade pericolose, evidentemente. Cercherò di adeguarmi. Non vedo l'ora di salire sul mio nuovo Suv nero e lucido e spaventoso, così sulla Ravegnana avrò una corsia e mezzo tutta per me, solo per me, altro che bici.
Mica voglio diventare una vittima della strada.

mercoledì 4 agosto 2010

Badly Drawn Boy all'Hana Bi

Badly Drawn Boy
Hana Bi (Marina di Ravenna), 26/07/2010
Gratis
Aspettavo un concerto di Damon Gough da dieci anni, da quando cioè acquistai il suo magnifico ciddì “The hour of Bewilderbeast” in centro a Londra, dopo aver visto un videoclip sul Brand New diretto da Coppola (sì insomma, una vita e una tv fa).

Ex calciatore delle giovanili del Manchester United, 40 anni, quando te lo trovi davanti non dimostra né l'uno né l'altro: i capelli bianchi che escono dalla berretta di lana (a fine luglio), la barba incolta e la pancia stratosferica lo fanno sembrare un vecchio nonno vestito da Babbo Natale.

Si presenta sul palco palesemente ebbro, e con un calice di vino. Comincia a canticchiare con la sua chitarra (ne ha due che alterna: un'acustica elettrificata e una telecaster), ma soprattutto a borbottare nel microfono cose incomprensibili, parlando tra sé e sé o inveendo contro i fonici per motivi... tecnici (“Non riesco a vedere i tasti della chitarra! I tasti! Quella spia è fottuta, comunque”).

Lo ascolto con la massima attenzione e concentrazione, poi quando per la terza volta sbaglia e ricomincia “Camping next to the water” mi vado a fare un giro per il locale bestemmiando.

Rimarranno in me tre epiche immagini del concerto: il numero spropositato di persone giunte all'Hana Bi, mai visto così pieno; Badly che a metà concerto si siede e attacca il suo lettore mp3, e noi che stupefatti ci ascoltiamo le sue canzoni mentre lui si fuma una sigaretta; Badly che rischia di cadere dal seggiolino suonando col piano “Magic in the Air”, tanto per sottolinearne lo stato di salute.

Foto del concerto: Osservatoriesterni

martedì 20 luglio 2010

Così belli da perderci la testa

 
Scritto per Billy

Il festival di cortometraggi organizzato dal ravennate Circolo Sogni cresce anno dopo anno. E, arrivato all'undicesima edizione, ha raggiunto livelli preoccupanti: dei sette film premiati, tre rasentano la perfezione.

Rosenhill (premio European Sogni Award) ha come protagonista un'anziana ospite di una casa di cura dove avvengono cose strane (o è tutto frutto della sua fantasia?). Thriller claustrofobico dal finale sospeso, un po' lungo (29') ma girato magistralmente da un'equipe di ragazzi svedesi. In Danny Boy (premio Giuseppe Maestri), animazione firmata dal polacco Marek Skrobecki, vediamo un mondo grigio ed inquietante, popolato da persone senza testa (fisicamente parlando) che si muovono e agiscono di conseguenza: in maniera stupida, goffa e ignorante. Provocando incidenti, investendo gli altri in auto o ammazzandoli con una pistola, pestando i clochard che chiedono una moneta: un corto che fa pensare. Davvero ben fatto Jules and her guys di Fanny Jean-Noel (premio creatività), divertente diario di una ragazza che per non darsi all'alcol si “dà” alla ninfomania: il corto è una carrellata di ritratti dei diversi uomini con cui va a letto, su uno sfondo elaborato graficamente che ricorda i libri pop-up. Frizzante, colorato e veloce, ha scalzato l'altro candidato al premio, Flat love di Andrè Sanz, interessante ma un po' confusa storia di un uomo che, abituato a guardare le cose con gli occhiali 3D, si innamora solo di donne disegnate su libri e quadri.

Gli altri premi: Sogni d'Oro allo spagnolo Socarrat di David Moreno (divertente ritratto di una famiglia anomala); Frequenze in corto al videoclip di Vinicio Capossela Una giornata perfetta (particolare stop-motion con atmosfere retrò); Sogni doc al toccante The gardener and his 21 flowers del danese Emil Langballe (documentario sulla difficile vita di un contadino dello Zambia e i suoi 21 bambini); Mitici critici a Linda di Fabio Scalzotto (uno studente sogna di diventare professore. Ci riuscirà?); la sezione riservata ai registi emiliano romagnoli è stata vinta da Matteo Tondini con Il mio ultimo giorno di guerra, con Ivano Marescotti (la seconda guerra mondiale vista da un contadino delle colline faentine).


Immagine: Danny Boy - Copyright © 2008 Se-Ma-For Produkcja Filmowa.

Black Hole Sun (Soundgarden)

Black Hole Sun (Soundgarden, 1994) cover on ukulele by Paco Garroyo (who still does not understand that wasting time isn't a remunerative job)

martedì 6 luglio 2010

Ultime letture: Fava, Connelly

Claudio Fava, La notte in cui Victor non cantò, 1999
Un romanzo/docu-drama angosciante, che fa davvero incazzare. Tra interviste (vere? Inventate? Chi lo capisce?), reportage romanzati e documenti della fondazione Allende, il giornalista Claudio Fava studia i crimini commessi negli ultimi quarant'anni dai militari sudamericani in sei paesi. Gli ottantamila morti della guerra civile in Salvador, combattuta sotto lo slogan “Patria sì comunismo no”, i tremila civili morti in Panama per l'attacco statunitense ma anche per i capricci del generale Noriega, le torture a quelli che poi sarebbero diventati desaparecidos per mano di uomini spietati come “l'angelo biondo della morte” Alfredo Astiz in Argentina, l'uccisione del musicista popolare Victor Jara dopo il golpe di Pinochet. “Che Paese potrà mai essere, un Paese che ammazza i propri poeti?” (Pierpaolo Capovilla).

Michael Connelly, Il Poeta, 1996
Thriller bestseller come ce ne sono tanti. Scritto perfettamente, con dialoghi che suonano falsissimi ma risultano efficaci, marchio di fabbrica di un autore 'pop' che l'ha vista lunga e non vuole perdere tempo ornando dettagli. Un giornalista indaga sul misterioso suicidio del proprio fratello, poliziotto, per poi scoprire che si tratta di omicidio. Vengono allora riaperti altri casi di presunti suicidi tra agenti, tutti avvenuti nella stessa maniera, e l'FBI comincia la caccia all'assassino. Libro che si legge d'un fiato, con una storia che mantiene la tensione sempre alta e un finale che presenta diversi colpi di scena. Interessante anche perché, direttamente o indirettamente, parla del lavoro dei cronisti e del giornalismo “d'assalto” più in generale.


giovedì 17 giugno 2010

E il documentario si prese la rivincita

Scritto per Billy

Non so se avete presente quei mega extra luccicanti multiplex dove per ogni sala cinematografica c'è un'attività collaterale. Bowling, sala giochi, scommesse, pizzeria. Non so se avete presente la soddisfazione di vedere che la sala d'essai dell'edificio, dove proiettano “Focaccia blues”, è completamente piena mentre in quella di fianco, dove proiettano “Iron man 2”, due terzi dei posti sono liberi. Si capisce a vista d'occhio: la rassegna “Il cinema della realtà”, al Cinemacity di Ravenna, è riuscita nel suo intento: sancire l'unione tra il documentario d'autore ed il suo “ritrovato” pubblico.

Come ci spiega l'organizzatore Fabrizio Varesco, documentarista ravennate, “Questa settima edizione è stata una svolta, vista la grande partecipazione di spettatori (un migliaio per tutte le 13 proiezioni, nda). Tutte le serate delle 20.30 hanno fatto il pieno, mentre ovviamente quelle delle 18 sono state più penalizzate per via dell'orario sfavorevole”.

Ma il 2010 è stato l'anno della svolta anche per via della presenza di tanti documentari nostrani: “All'inizio proiettavamo per lo più produzioni straniere, proprio perché gli italiani faticavano ad imporsi sul piano della qualità. Ho visto la situazione migliorare col passare del tempo, e oggi i film di Cirasola, Montaldo e tutti gli altri, con il loro successo di critica e pubblico, sono una grande soddisfazione”.

Ma il successo di una rassegna del genere nella piccola sala d'essai, mentre il colosso Blockbuster sta fallendo e il box office italiano segnala un costante calo delle presenze, non è sintomatico del fatto che le persone ricercano prodotti sempre più interessanti e di qualità, come, appunto, i documentari? "Certo, noi ce ne siamo ben accorti e credo che piano piano se ne stia accorgendo anche chi gestisce la distribuzione e si arroga la pretesa di definire i gusti dei fruitori. In un tempo in cui la fiction sta debordando e diventando qualche cosa di insopportabile, il documentario d'autore che parla della realtà offrendo spunti di riflessione è sempre più importante. Non a caso agli ultimi Oscar sono andate sei statuette a 'The Hurt Locker' della Bigelow, film con un taglio nettamente documentaristico: c'è l'esigenza, anche da parte di chi fa fiction, di trovare spazi nuovi nella realtà”.

L'ex cinema Lux

by Paco Garroyo per Billy

L'altra mattina passeggiavo per Rio Claro diretto al bar (la mia iguana domestica, Bigelow, aveva aperto il frigo e si era pappata tutti i miei yogurt agli agrumi lasciandomi senza colazione) quando, passando davanti all'ospizio, notai un signore anziano con tanto di bastone che con aria alquanto malinconica rimirava l'edificio.
Lo salutai educatamente, e siccome sono uno che non riesce a farsi i cavoli propri, gli chiesi se andava tutto bene. Sì illuminò, come si illuminano gli anziani che ti stanno per attaccare una pezza mostruosa. Mi chiese se conoscevo la storia del cinema Lux, ora ospizio Santa Barbara. Risposi incautamente di no. Sorrise, mi immobilizzò col suo tenero sguardo magnetico da nonno, e cominciò a narrare.

“Vede, giovine, deve sapere che il cinema Lux venne aperto negli anni '40. Era un piccolo cinema di paese, buio e pregno di fumo di sigarette, ma a Tobago in quegli anni non c'era mica un gran ché da fare, neanche adesso a dire il vero, ma beh insomma il cinema era sempre pieno. E che film proiettavano: Casablanca, Il mistero del falco, Via col vento. Chaplin a manetta. D'altronde chi se ne frega, al cinema si guardavano le ragazzine spettatrici, mica si badava ai films. Ma poi le ragazzine hanno smesso di interessarsi a Bogart e hanno cominciato a voler ballare. Così il Lux è diventato una sala da ballo: la sala da ballo del circolo dei Repubblicani. Negli anni '50 questo posto ha visto i dischi di Elvis e Little Richard, ci si scatenava con Be Bop A Lula, Rock round the clock, giovinotto mio. Ma diciamocelo, quello dei Repubblicani di Tobago è sempre stato un partito un po' campato in aria: negli anni '60 il Lux ha pochi clienti e chiude. Riaprirà per iniziativa di un privato nel '70, sempre come cinema: ci ho visto trenta volte Giù la testa e Arancia Meccanica, io, qui dentro. Mica la merdaglia che guardate voi giovini. Poi in provincia hanno aperto i multicosi, lì, quelli con tante sale e il bovling. Per il Lux, dalla metà degli anni '80 in avanti, è stata una lenta agonia. Nel '95 tentarono il cambio di programmazione, trasformando il nome da Lux in Luxuria – sull'insegna l'aggiunta la fecero col pennarello – e facendone un cinema a luci rosse ambita meta per tutti i pervertiti di Rio Claro. Che comunque erano troppo pochi per farci affari. I sold out di Nella porca fattoria e Il senso di Smilla per la fava non fecero il miracolo: nel '99 il Lux chiude. Comprato dalle suore, sterilizzato e benedetto, voilà l'ospizio Santa Barbara. Venga con me, giovine, andiamo a sbronzarci”.

domenica 30 maggio 2010

Ultime letture: Xiaolong, Carlotto

Qiu Xiaolong, La misteriosa morte della compagna Guan, 2002
L'omicidio di una “lavoratrice modello” a Shanghai è solo un pretesto usato dallo scrittore Xiaolong per parlare della società nella Cina comunista dei primi anni Novanta. La Cina delle prevaricazioni di polizia e politica, che noi conosciamo grazie alla cronaca e che sul libro trovano pesanti conferme. In questo finto giallo, senza la minima suspense e dove tutto fila liscio, senza intoppi e colpi di scena, il giovane compagno ispettore Chen conduce un indagine il cui sospettato principale è figlio di un potente quadro del Partito Comunista: se la dovrà vedere non tanto con la ricerca di prove quanto con l'ostilità e la rigidità dei suoi superiori. Ravioli fritti, thè e poesie orientali a go-go. Lentissimo.

Massimo Carlotto, L'amore del bandito, 2009
Prendete un investigatore privato alla Marlowe, cinico e strafottente, e piazzatelo dentro storie di malavita organizzata nel produttivo Nord Est dei giorni nostri: il personaggio di Carlotto, soprannominato l'Alligatore, è fin troppo ben confezionato e adattissimo a un romanzo “di genere” come questo. Cocainomani della Padova bene, poliziotti corrotti, spacciatori marocchini che si lamentano perché il crimine non è più quello di una volta, locali blues in crisi, ex galeotti che per amor della famiglia sono finiti a fare i camerieri, figli di personaggi importanti che si danno alla depravazione perché tanto “i bravi cittadini elettori si accontentano della testa dei clandestini”: un pulp senza sangue, che con tanta amara ironia prova a descrivere anche lo sfacelo della società italiana.

venerdì 28 maggio 2010

La mutazione del regalo di compleanno

by Paco Garroyo per Billy

Io odio il compleanno. Lo odio perché la gente si sente costretta a farti il regalo. E se gli zii l'hanno capita e mi danno dei soldi da spendere come voglio, per alcuni amici non c'è nulla da fare.

E così mi sono trovato di fronte a Roman Polanski, vecchio compagno di sbronze, mentre spacchettavo il suo dono. Si muoveva da solo, il pacchetto. Saltava. “Roman, che razza di roba ci hai messo?” “Vedrai vedrai, l'ho preso dai cinesi”. Apro la scatola: dentro c'era un batuffolo di pelo marroncino con due grandi dolcissimi occhioni. Un'orribile via di mezzo tra un orsetto di peluche e un topino. “L'ho preso dai cinesi – dice Roman – si chiama Gremlino. O Cremlino. Non ricordo, ho già buttato il biglietto” “Roman, nel caso mi facesse schifo posso cambiarlo?” “Si cambierà da solo” risponde lui con tono enigmatico, e poi se ne torna a casa, anzi, in cella.

Quella notte non riuscivo a dormire. Quello stupido morbido pupazzetto di pelo tenerello continuava a lamentarsi e frignare, dentro la sua scatolina. Che avesse fame? Gli detti da mangiare un trancio di pizza ai frutti di mare che avevo avanzato dalla settimana prima, pensando fosse un ottimo modo di sbarazzarmene (cominciava a puzzare). Fatale errore. Non so se fosse per le cozze un po' violacee, o perché mancavano le chele di granchio (e una pizza ai frutti di mare non è degna di questo nome se manca il granchio), ma l'animale divenne più grosso, perse lentamente il pelo scoprendo una pellaccia viscida e nera, tirò fuori una lingua lunga e biforcuta, assunse uno sguardo assassino e sfoderò delle unghie grige e spaventose. L'aspetto estetico era molto migliorato, lo ammetto, ma il problema è che mi saltò addosso urlando.

Ora sono qui che scrivo con la biro infilata nel naso. Quell'animale fetido mi ha staccato a morsi entrambe le mani. Ho già fatto causa a Polanski: il mio avvocato dice che, se va bene, come risarcimento mi arriva il galeone del film “Pirati” parcheggiato nel porto di Genova. Io lo odio, il compleanno.

"Billy rivista cinematografica romagnola" si è incartata

Arrivo tardi (meglio che mai) per segnalare anche qui che la rivista di cinema "Billy" si trova da maggio cartacea in giro per il mondo. Mondo inteso come le province di Ravenna e Forlì, chiaro.

Un nuovo capitolo (speriamo davvero duraturo) per una fanzine che fino adesso ne ha viste di ogni: 23 numeri pubblicati in un anno, con 347 redattori cambiati o spariti di cui alla fine ne sono rimasti una decina, 200 cambi di grafica (su 23 numeri non è male), 56 passaggi dal bianco-nero ai colori, un direttore che se ne è andato (dai, Ilario, torna a scrivereee, daaaaai), rubriche mutate, stravolte, genuflessesi allo spazio e al numero di battute a disposizione.

Qui io e il neo-art-director Matteo Lolletti ne parliamo un po': www.ravenna24ore.it

venerdì 7 maggio 2010

La ballata d'Innocenza (Lauzi)


Inauguro il mio nuovo fiammante ukulele con una ballata tragicissima: una cover de "La ballata d'Innocenza" di Bruno Lauzi, 1966.

E pensare che io Bruno Lauzi lo conoscevo per "la bella tartaruga che cosa mangerà". Un applauso a Cochi e Renato che cantano di Innocenza nei loro ultimi spettacoli, un grazie al M° Enrico Farnedi che cazzegiando su internet me l'ha fatta conoscere.

Note? Sol, Do, Mi, Fa, Re, in ordine sparso.

PS: scusate per le stonature e per l'orribile R moscia. Se conoscete un rimedio, chiamatemi.

domenica 25 aprile 2010

Buon 25 aprile

Per alcuni la "Resistenza" fu un male indegno di essere celebrato. La "Resistenza", di fatto, non ha portato direttamente né Suv, né appartamenti al mare, né nuovi modelli di telefonini, né reality show.

« Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l'invasor »


(Nella foto il cippo di San Pietro in Trento)

lunedì 19 aprile 2010

Violenza, prostituzione e Bud Spencer

By Paco Garroyo per Billy

L'altro giorno ero a giocare a freccette al bar, e c'era anche Ermanno Olmi. Sconfortato e anche un po' ubriaco, mi ha confidato di non aver trovato un distributore per la sua nuova opera, il sequel di "Cantando dietro i paraventi," e me ne ha dato una copia su una penna usb, un primo montaggio, cosicché gli facessi sapere cosa ne pensavo.

Il film si apre dove si era chiuso il precedente: siamo in un bordello cinese degli anni '80, un bordello costruito all'interno di un teatro in modo che clienti e meretrici possano godersi anche uno spettacolo, protetti dai veli che circondano i loro baldacchini posti in platea. Sul palco una giovane attrice orientale in ginocchio piange, si lamenta, canta una nenia lunga e straziante. E' la figlia dell'Imperatore Chu Chiao Ning, ed è addolorata per la sconfitta del padre nella battaglia navale di Haikou. Ad un tratto entra in scena un vecchio pirata barbuto e ciccione, con cappello pistola pappagallo in spalla e tutto. E' Bud Spencer che, imprecando in portoghese (?), prende una sedia e la spacca sulla schiena della giovane principessa. Allora sale sul palco un uomo di mezz'età calvo, orientale anche lui, completamente nudo (?) e con in mano una sciabola. E' l'Imperatore Chu. “Per quello che hai fatto a mia figlia – dice l'uomo al pirata Bud – ora ti lancerò un terribile anatema: Casca il mondo casca la terra, tutti giù per terra!”. Per tutta risposta, Bud Spencer prende un paravento e, imprecando in latino (?), lo frantuma sulla testa dell'Imperatore. Dalla platea di baldacchini si leva un grido: “Questo è troppo!” dice un uomo che si alza, si rimette i pantaloni in fretta e se ne va, sbattendo la porta. Senza pagare.

Il giorno dopo sono tornato al bar. C'era Ermanno Olmi seduto al suo solito tavolo con una bottiglia di brandy. Mi sono avvicinato. Gli ho detto che era il mio nuovo eroe, che in tre minuti di pellicola era riuscito a spiegare definitivamente cosa unisce oriente ed occidente: violenza, prostituzione e Bud Spencer. Con mio sommo stupore non ha reagito bene: è diventato triste e si è messo a piangere maledicendo il mondo.

Nella foto, il pirata Bud mentre cerca con lo sguardo la sua prossima vittima

lunedì 12 aprile 2010

Le meraviglie dell'acquario di Genova

Al maestoso acquario di Genova, dopo un'ora di fila, potrete vedere alcune tra le più peculiari specie di esseri viventi nel nostro mondo! Non solo pesci! Ad esempio:

-- C'è la signora che fa le foto ai ricci col flash, allora l'addetto urla “Per favore, non fate foto col flash. Potete far foto, ma senza flash”, allora la signora avanza due metri e tac, foto col flash al pesce pagliaccio, e l'addetto “Per favore, non fate foto col flash”, allora la signora avanza tre metri e tac, foto alla murena col flash, allora l'addetto urla “Per favore, non fate foto col flash” e la signora, a bassa voce, “Eh, ho capito, che palle”;

-- C'è la bambina che dice “Mamma mamma mamma mamma, che pesce è quello?” e la mamma “Guarda che bello, è il pesce palla!” mentre invece è una trota;

-- Ci sono quelli che fanno le foto con l'iPhone, e fotografano ogni singola maledetta alga anche se non viene nulla;

-- Ci sono le signore che vedono le aragoste e dicono “Buone!”;

-- Ci sono le fighette di vent'anni perennemente con gli occhiali da sole anche se l'acquario è quasi completamente al buio;

-- Ci sono i bambini che urlano, quelli che urlano di più e quelli che urlano ancora di più;

-- Ci sono quelli che leggono il cartello “Non gettate monetine all'alligatore, potrebbe ingerirle e soffocare” allora tirano fuori il portafoglio e lanciano dieci centesimi nell'acqua, possano loro morire sbranati da un coccodrillo;

-- C'è il bambino che tira pugni bestiali sul vetro per richiamare l'attenzione del pinguino, e la madre a fianco che invece di dargli un tozzone lo aiuta emettendo dannosi gridolini tipo “Che belloooooo, il pinguinooooo, vieni quiiii pinguinooooo, quiiii quiiiiiiiii, facciamogli una fotooooo, che carinooooooo, dov'è il babbo con la macchina fotografica? Gianfranco? Gianfranco dove sei, fai una foto al pinguino, guardaaaa che bellooooooooo, tenerooooo, Gianfranco dove ti sei messo?” (Gianfranco è in un'altra stanza che guarda il culo a una tizia);

-- Infine c'è il lamantino, un trichechido grigio che dall'altra parte del vetro vede queste scene e decide di suicidarsi picchiando la testa su un masso (foto).


(A parte i visitatori, l'acquario di Genova è pieno di cose molto interessanti. Come tutti gli acquari del mondo, eh!)

mercoledì 31 marzo 2010

Tre allegri ragazzi al Bronson

Tre allegri ragazzi morti
Bronson (Ravenna), 27/03/2010
12 €I “Tre allegri ragazzi morti” (per la verità tre ragazzi più un chitarrista turnista vestito da topo bianco) hanno deciso di fare rrreggae. I testi di Toffolo con la musica di Bob Marley. E già questo è bastato a un mio amico per uscire dal locale (abbastanza pieno) a metà concerto. Non solo, ma da quel che dice più volte il frontman con un italiano misto allo spagnolo, pensano di essere la più grande reggae band del globo (“NOI abbiamo portato in questo strano Paese a forma di stivale il rock'n'roll, e ora NOI importiamo il reggae da una piccola isola dell'oceano Atlantico chiamata Jamaica”).

Io ho resistito nonostante i numerosi attacchi alla mia pazienza: volevo sentirli suonare qualche hit indie di quando avevo 15 anni, dannazione, e alla fine non mi hanno deluso (alla fine).

Lati positivi: i suoni (ottimi considerando il Bronson), le gag d'avanspettacolo (come da lui stesso ammesso) di Toffolo, le quasi due ore di concerto, il tris, tanta gente con le mascherine/teschio, la pubblicità fatta dal Toffolo alla graphic novel di Reviati (“Come, non sapevate che voi ravennati siete chiamati 'Morti di sonno'? Allora domani tutti in libreria”).

Nonostante l'invadente e muscoloso egocentrismo, un applauso al Toffolo per non avere mandato platealmente a cagare i tecnici per i numerosi problemi alle sue spie. Più volte si è tappato le orecchie, ha spostato il microfono e ha continuato il suo show, con l'umiltà che non ti aspetti.

domenica 21 marzo 2010

Erano un milione, ma hanno sbagliato piazza

La manifestazione di Roma pro Berlusconi del 20/03/2010: per il Pdl in piazza un milione di persone, per la questura e qualche giornale filoleninista 150 mila.

Io non mi fido. Io non mi fido di questura, cittadini romani e quotidiani d'informazione che hanno cercato di dimostrare il mezzo flop. Non mi fido perché si sa, l'informazione in Italia è in mano al Commonismo.

Allora sono andato sul sito de “Il Giornale” diretto da Antonio Feltri: uno dei pochi quotidiani liberi e indipendenti che abbiamo nel nostro rosso Paese. Lì c'era la fotogallery della manifestazione.

Foto 4: la testa del corteo: in prima fila Brunetta, Gasparri, la Prestigiacomo ed altri altissimi esponenti Pdl; dietro di loro... 40 persone? 50? Una calca, insomma.

Foto 7: queste ragazze sono presumibilmente sul palco: quelli sotto il palco a occhio e croce sono meno di un milione. A occhio e croce sono meno di mille.

Foto 9: un uomo brandisce un cartello. Foto 10, un altro uomo brandisce un cartello. Ah, scusate, è lo stesso uomo, spostato due metri a sinistra e con un altro cartello.

Foto 16: c'è anche un bandierone italiano gigantesco! Da quante migliaia di persone sarà sostenuto? Scopritelo nella foto 18.

Beh, io non mi fido della comunicazione marxista, ma davanti a queste raccapriccianti immagini, sommate a quelle pubblicate dai romani e impietosi lettori di Repubblica, comincio ad avere dei dubbi sul fatto che ci siano state un milione di persone. Ma anche 150 mila. Magari erano davvero un milione, ma hanno sbagliato indirizzo e sono arrivati tardi.

(Per sicurezza mi sono salvato sul pc le foto in questione. Ripubblicarle è assolutamente illegale, ma nel caso quelli del “Giornale” vogliano dare una ritoccata al servizio, io lo avrò tutto)

lunedì 15 marzo 2010

Hey, chivalà, aaaaalllrrrrgghhh coff coff

Teatro degli orrori
Bronson, 27/02/2010
12 €E' la seconda volta che vedo dal vivo i "Teatro degli orrori", ed è la seconda volta che il mio voto, da uno a dieci, è "mah".

Musicisti ottimi, con Gionata Mirai sempre più somigliante, nel viso e nell'eleganza, a Cristiano Godano dei Marlene Kuntz (gran complimento), con quella bestia di Nicola Manzan che stupra le chitarre con ironia e violenza facendo le corna con le mani al pubblico, con il batterista Francesco Valente cianotico e giallognolo che sembra dover svenire da un momento all'altro e invece pesta con maestria per due ore rompendo il rullante, col bassista (ok, non so chi sia) che, per quel che mi ricordo, non fa minimamente rimpiangere Giulio Favero.

Poi arriva lui, quello nella foto. Il cantante Capovilla si presenta sul palco con un braccio ingessato (brutto presagio), prende il microfono e bofonchia qualcosa, dimostrando A) di non avere voce B) di essere ubriaco/fatto/entrambi. Per la prima mezz'ora di concerto non si comporta neanche malaccio, poi alle urla più o meno intonate si sostituiscono urla strazianti ("Hey, chivalà, aaaaalllrrrrgghhh coff coff"), stecche a go-go e, almeno a me è sembrato, pezzi stonati per quasi tutta la loro durata (epica "Direzioni diverse" fatta un tono-un tono e mezzo sopra rispetto alla base).

Vabè, è appurato che il ruolo di Capovilla è di intrattenitore, più che di cantante, e questo lo fa benissimo: filippiche sul fatto che noi giovani dobbiamo riappropiarci della vita e non guardare la tv, innumerevoli stage diving dove perde il microfono tra la folla, pause di riflessione che gli riescono un po' grottesche.

sabato 13 marzo 2010

Una famiglia un po' psicosemiotica

by Paco Garroyo per Billy

Università di Tortuga, 13 luglio, ore 11. In sottofondo, la voce del professore che blatera.

Le tematiche del corporeo, del passionale, del sensibile e dell'estesia. Il dibattito teorico relativo alle radici corporee ed emotive del senso. La linguistica cognitiva, le arti del dire e dell'oralità. “Sto impazzendo, pensai, questa lezione è un piccolo assaggio dell'Inferno. Uno di questi giorni succede, torno a casa e faccio un casino. Prendo il cane e lo inchiodo alla mamma, prendo il babbo e lo lancio sul vicino. Appicco fuoco al frigorifero e affogo il cactus, finisce che lo faccio”.

Mi incantai, ripensando all'osceno film Willard il Paranoico che avevo visto la sera prima: “Diavolo, è vero. Altro che giardini magici, labirinti e inquietanti manicomi: tutte le grandi storie di follia si sviluppano tra le mura domestiche, o comunque in famiglia. Come ne I pugni in tasca di Bellocchio, dove il giovane Alessandro, folle ed epilettico, innamorato della sorella Giulia, ammazza i parenti per poi fare una morte angosciante. E L'uccello dalle piume di cristallo di Argento, dove moglie e marito insieme non fanno un assassino sano. Nel Grande cocomero della Archibugi la malattia di Pippi è dovuta – et voilà – alla difficile situazione familiare. Oppure Shock di Mario Bava, dove Dora ammazza due mariti poi si taglia la gola, mentre il figlioletto felice parla coi fantasmi. E il caro Norman Bates, che uccide la madre e ne conserva il cadavere nello scantinato? Pensa se arrivo a casa e mio babbo dice hey mi hanno assunto come custode invernale in un grande albergo nel culo del mondo! Col cavolo che vengo, gli rispondo! Ho venticinque anni, sono pressoché indipendente, e in ogni caso non posso più andare sul triciclo, per quanto mi dispiaccia, gli rispondo!”

Lessi il titolo del libro che avevo sotto il naso: Semiosis without Consciousness? An ontogenetic perspective. “E' luglio, a Tobago c'è un sole che spacca, e noi siamo chiusi in questo stanzone dell'università di Tortuga. L'aria puzza di big babol e sudore. Il prof sta tenendo una lezione di 'Psicosemiotica della Paura'. Altro che casa, altro che famiglia: se esiste un Regno dei Tarati, è questo. E se non ammazzo nessuno nei prossimi cinque minuti, sono salvo”.

venerdì 26 febbraio 2010

Ultime letture: Coe, Gino & Michele

Jonathan Coe, Questa notte mi ha aperto gli occhi, 1990

Avete più o meno 25 anni e non sapete che ne sarà del vostro futuro? NON leggete questo libro. E' stato redatto da un signore che, alla vostra età, si trovò davanti a un bivio: diventare un noto pianista free jazz o un famoso scrittore. Lui scelse la seconda, ma a voi probabilmente non sarà data nessuna delle due possibilità, e leggendo questo romanzo sarete schiacciati dalla supremazia pop-intellettuale dell'autore. Che disegna benissimo il profilo di un giovane tastierista di belle speranze nella Londra degli anni '80, coinvolto suo malgrado in un omicidio; romanzo romantico e thriller ironico, i cui capitoli sono scanditi dalle canzoni degli Smiths e il cui ordine è disturbato come ne “La casa del sonno”, pieno di flashback su flashback.

Gino & Michele, Neppure un rigo in cronaca, 2000

A Gino e Michele è venuto lo stesso magone che ha colpito Benni: melanconia e nostalgia dei tempi andati, che non erano “migliori” dal punto di vista economico ma di sicuro lo erano in termini di rapporti umani. In questa sorta di thriller comico disegnano la Milano che videro da bambini, negli anni '50, con l'uomo che vendeva il ghiaccio (perché nessuno aveva i frigo), il ricco con la Fiat Cinquecento (perché pochi avevano l'auto), il maestro che organizzava tornei di tappi di bottiglia nel parchetto (perché i bambini mica avevano la Playstation), il bar con il televisore dove tutti si riunivano. E poi la torre Velasca, luogo di corruzione politica e insieme simbolo del boom economico italiano, il quale porterà i freezer nelle case togliendo però calore alle persone (voilà).

Altre letture

mercoledì 17 febbraio 2010

Ultime letture: Polidori, Asimov

John Polidori, Il Vampiro, 1819
Ormai abituati agli emo-vampiri pettinati alla moda di Twilight, andarsi a rileggere uno dei primi racconti a tema della storia della letteratura risulta ancora più interessante. Nel breve libro di Polidori, medico personale di Lord Byron, il vampiro è un signore facoltoso quanto misterioso (come successivamente nel Dracula di Bram Stoker), che sembra portare disgrazia a ogni persona con la quale si relaziona. Gira per il mondo con un sorriso maligno, scommette con i poveri derubandoli di tutto, plagia le giovani ragazze e mette loro in testa strane idee, ma rispetta i ricchi avidi. Un Robin Hood al contrario, se volete, stronzo e spietato. Il fatto che succhi il sangue alle vergini è un dettaglio.

Isaac Asimov, Cronache della Galassia, 1951
E se esistesse una scienza in grado, grazie al calcolo delle probabilità degli eventi, di prevedere il futuro? Asimov, in questo romanzo ambientato nello spazio tra 10 mila anni, descrive crisi e resurrezione dell'Impero Galattico, avvenute sotto la guida del misterioso psicostoriografo Hari Seldon, capace di guidare gli uomini per secoli grazie alle sue massime registrate in un video. Peccato per la “ricostruzione” geografica dei pianeti, praticamente tutti uguali e somiglianti alla Terra, esseri viventi e società compresi (il che fa del romanzo più una “trasposizione nel futuro” della storia dell'umanità e delle varie civiltà che una vera e propria storia di fantascienza), ma il plot è affascinante. Primo capitolo della “Saga della Fondazione”.

Altre letture

martedì 9 febbraio 2010

L'algebra amorosa

by Paco Garroyo

“Paco, il nostro giornale va a ramengo. Tobago Today e il Corriere del Caribe ci rubano pubblicità a mille. Dobbiamo attirare giovani lettori, Paco. Ti faccio mandare dalla mia segretaria il numero del regista hodureño Rodrigo Moccio, per domani voglio un'intervista di tremila battute. Fottuti teenagers”.
La telefonata del direttore mi mise apprensione. Pensai di rifiutare, di mandare a cagare tutto e tutti. Faccio il giornalista, io, mica il marchettaro. Meriterei d'interloquire con Gus van Sant, io, altro che stronzate! Poi il pensiero del dentista da pagare mi mise ancora più apprensione, e mi alzai dalla poltrona a malincuore.

PA- Oggi parliamo con Rodrigo Moccio, 44 anni, regista di alcune colonne portanti della cultura giovanile dei nostri anni come “Amore 69” o “Ma quanto mi ami?” e l'ultimo “Io e te tre metri sopra il Nicaragua”. Rodrigo, cosa la spinge a parlare d'amore nei suoi lavori?
RO- Ah, l'amore.... l'amore è il motore! Amore vuol dire generosità, amore vuol dire un sorriso!
PA- Beh, il sentimento più nobile! Mi tolga un po' di curiosità. E' vero che prende ispirazione soprattutto da quello che i ragazzi scrivono sul forum che ha istituito appositamente? Creando una sorta di finestra sui loro cuori?
RO- Io voglio credere che l’amore ci sia, che non ci sia violenza, che non ci sia sofferenza, vorrei che fosse l’amore a spingere questo mondo.
PA- Chiaro. Chi non lo vorrebbe? Ma circa il forum?
RO- L'amore è una straordinaria alchimia che rende straordinarie le cose comuni!
PA- Sì, bene. Passiamo al cinema: è vero che per scegliere le attrici delle sue pellicole nei provini le fa sedere e le guarda negli occhi per molto tempo, senza far loro dire nulla?
RO- Credo che la vera scelta la devi fare dentro di te, se non capisci bene che vita vuoi è difficile che tu possa offrire la vita a qualcun altro.
PA- Eh? Cosa?
RO- Per gli adolescenti e per i single un po' cresciutelli il messaggio è lo stesso: non disperate, sono sicuro che l’amore motore è lì che vi aspetta!
PA- Ah, già. Senta, ci parli un po' del tuo ultimo film.
RO- Nell’algebra amorosa 1+1 fa tutto mentre 2-1 fa niente.
PA - Santi numi... per favore, la prego, non lo ripeta mai più.
RO- Ah ho colpito nel suo cuore, eh? Infatti nell'amore forse a mancare è la volontà di stare realmente insieme. L'ho colpita al cuore, eh?
PA- Io volevo intervistare Gus van Sant.
RO- Il mio ultimo film... beh, l'isotopia principale è il rapporto tra i giovani e i genitori. Un rapporto direi d'amore e odio. Ma più amore, eh, ci mancherebbe! L'amore è il motore del cuore, ci mancherebbe, ah ah ah!
PA- Ah ah ah. Ancora una curiosità. La scelta di girare in Kodachrome, dopo aver utilizzato il digitale nei primi tre film, da dove arriva? Deve aver avuto un bel budget.
RO- Non so cosa stia dicendo. Quando ti innamori e non sai cosa accadrà di quel tuo amore, quando cominci ad avere le sensazioni del tuo corpo, del corpo dell'altra, quando tutto è nuovo, assoluto, sconvolgente: questo è bellissimo.
PA- Uhm. E nonostante tutto, è stato molto criticato per aver trattato temi rilevanti in modo troppo dinamico e poco sentimentale, belle parole per dire che i film sono banali e superficiali. Allo stesso tempo, si dice, ha dedicato troppi spazi e tempi al “product placement”, con marche e oggetti alla moda più in vista dei paesaggi. Leggerezza e consumo. Cosa risponde?
RO- La gente ama il lieto fine. Io mi sento una piccola boa per segnalare qualcosa che, assolutamente, non deve andare perso: l'amore.
PA- Ma basta, la smetta! Ha 44 anni!
RO- …
PA- Moccio?
RO- …
PA- Stupido di un Moccio, mi sente?
RO - ...Non ne posso più, voglio morire. Mi aiuti.
PA- A morire? Tenga botta, sto arrivando.

(ndr: Rodrigo Moccio è un personaggio di fantasia. Le frasi che dice... no)

Il pezzo - tagliato e accorciato - è uscito sul Billy di febbraio


mercoledì 3 febbraio 2010

Furgone cinese e incentivo italiano

Questa merita. La Martin Motor è un'azienda italiana che ha ben pensato di vendere nel nostro Paese dei furgoni prodotti in Cina, alla faccia dei lavoratori di Termini Imerese. Alla faccia perchè i furgoni della MM costano... 2140 euro.

Ma come? Va beh che in Cina manodopera e materiali costano poco, ma un furgone è pur sempre un furgone! Non può costare come una chitarra elettrica! E le spese di trasporto dalla Cina?

L'arcano è presto svelato: i furgoni della MM godono di tutti gli incentivi possibili al mondo. 4000 euro di ecoincentivi del Governo, 2500 euro la rottamazione e 2000 euro di incentivi della Regione Lombardia. Tutti indicati nella pubblicità della MM. E così del prezzo iniziale (basso ma pur sempre umano) ne rimane un quinto.

Allora mi chiedo cosa siano tutte queste male parole sui prodotti cinesi inaffidabili per i quali ci vorrebbe un dazio, cosa siano tutti queste belle parole a favore dei lavoratori della Fiat che rischiano la cassa integrazione, cosa sia tutta questa presunta difesa del "made in Italy" per la quale è scoppiato il caso Alitalia, se poi si favorisce in modo osceno un'azienda che sventola bandiera italiana (guardatevi il sito della MM, riconducibile alla Omci) ma che per profitto fa i propri comodi in Cina (per carità: da come se ne parla in alcuni forum i prodotti sembrano ottimi).

Alla MM va almeno il merito di non nascondere affatto la provenienza dei suoi veicoli, come fanno troppe griffe "italiane" che producono le borsette in Cina per trenta euro e le rivendono nelle boutiques a 500 con l'etichetta "made in Italy". Ma questo non basta a giustificare tanti incentivi. Perchè gli incentivi, lo ricordo, vengono fatti proprio per dare una scossa al mercato e aiutare le aziende di madrepatria in (teorica) difficoltà... Se no che cazzo di "incentivi" sono? Ma si potrebbe cercare di difendere il "prodotto" italiano e non l'"industriale" italiano, per una volta? Chissà quanti casi Omsa ci attendono ancora...

Repubblica
Forum Triumph