CLINIC
Bronson (Ravenna), 17/01/2009
16 €
Stai guidando. È notte fonda, e c’è anche un po’ di nebbia. Hai nel lettore l’ultimo cd dei Clinic, “Do it”, alla traccia 3, “The witch”. Balli, anzi, ti agiti spasmodicamente sui ritmi garage/sixties tamburellando con le dita sul volante. Fai appena in tempo a vedere un gigantesco camion a forma di balena bianca che ti arriva addosso coi suoi fari blu elettrico, poi più niente.
Quando ti risvegli, sei steso sul lettino di una sala operatoria. Te ne rendi conto dall’odore, dal bip delle macchine, dal faro sopra la tua testa. Ti spiazza giusto il fatto che la luce non sia bianca, ma giallo banana fosforescente. Poi un volto ti copre la visuale, scrutandoti. Ha la mascherina bianca e la cuffia blu, da chirurgo inglese. “Bassista, mi dia lo strumento”, dice con un tizio al suo fianco, anche lui in camice. Il bassista gli pone un gigantesco bisturi a forma di chitarra fender, con manico paletta e tutto. “Percussionista, tampone” e ti arriva una bacchettata in faccia che ti addormenta.
Non del tutto: quel che basta per percepire le loro voci e i loro strumenti muoversi su di te.
Comincia così il loro concerto sulla tua povera testa. E comincia in maniera preoccupante: un’accozzaglia di chitarre distorte seguite da un organo vintage passato confusamente all’overdrive e condito con coretti stonati in falsetto, mentre i tom del batterista/tamponatore scandiscono il tuo ritmo vitale, che scopri essere ben più psichedelico di qualsivoglia album dei Pink Floyd. Fai un po’ fatica ad abituarti ai suoni, ma al ritmo no, quello ti prende subito, facendoti muovere in maniera convulsa (dejà-vu?). Continui però ad essere preoccupato, e dopo dieci minuti pensi: “Ma cazzo, hanno mai studiato medicina questi? Sembra che non abbiano mai toccato uno strumento in vita loro! Bello, per Dio, un bel viaggetto onirico/sonoro, ma tecnicamente parlando… in che mani sono finito?”. Come se avessero sentito, i chirurghi attaccano “The second line”, e te la fanno così bene, ma così bene che non ti resta che lasciarti sciogliere e pensare alle cose più belle che ti sono capitate negli ultimi giorni… anche perché poco dopo viene “Corpus Christi”, i cui coretti riverberati agiscono come mille dolci anestesie sui tuoi dolori, lasciando solo alla testa la libertà di movimento per seguire il ritmo ben scandito dal timpano (tra le più belle invenzioni dell’uomo assieme al cannocchiale e al comodino da affiancare al letto). E rimani così, un paziente vegetale semovente beato, a volte scosso da qualche scarica di punk (“Shopping bag”) e poi sedato con una ballad stonata (“Free not free”). Il risveglio è però troppo, troppo brusco.
Infatti tolte le eccezioni sopra citate (a cui possiamo aggiungere le buone esecuzioni di “Harvest” e “The witch”, quella che vi ha fatto schiantare) l’operazione-concerto dei chirurghi inglesi Clinic non è stata certo delle migliori: un po’ frettolosa, con poco trasporto e soprattutto troppo breve. Insomma, i 16 euro di biglietto al Bronson per un poco ispirato concerto di 45 minuti si sono rivelati decisamente eccessivi: considerando i 5 album usciti dal 2000, e quindi la grande mole di materiale trasportabile sul palco, la band di Liverpool (composta da Ade Blackburn, organo e voce, il bassista e corista Brian Campbell, il chitarrista Jonathan Hartley e il tamponatore Carl Turney) stavolta ha un po’ deluso. Lodi, invece, per le splendide bariste del locale dotate di cappellino da crocerossina (l’atmosfera, come spero si sia capito da questa pessima recensione, è stata fondamentale). Voto 5,5.
Francesco Garoia
grande Garo!
RispondiEliminabellissima recensione
secondo me hai un futuro assicurato ;)
By Il Simon
bella davvero questa recensione, hai mai pensato di fare il giornalista?
RispondiEliminaPs. ..ma chi cazzo sono questi Clinic?